Fino a che punto la predisposizione alla corsa è genetica, e fino a che punto invece influiscono l’allenamento e la determinazione?
Domande non da poco conto nell’ambiente sportivo e in quello del running, dove spesso si inizia a correre fulminati dall’entusiasmo contagioso dei genitori o degli amici.
In molti propendono per l’ipotesi che si nasca particolarmente dotati per l’attività sportiva, e che quindi in caso contrario sia possibile migliorarsi ma non certo diventare dei campioni.
Il ricercatore Klissouras nel 1971 ha pubblicato uno studio nel quale prendeva in considerazione l’interazione fra i fattori genetici e i risultati nel mondo dello sport, scoprendo che numerose variabili inerenti all’attività sportiva sono in parte (secondo percentuali diverse) influenziate dalla genetica: ad esempio, il massimo consumo di ossigeno lo è fino al 25%, la capacità di volume allenante fino al 70%, la frequenza cardiaca massima del 50%, e così via.
Le percentuali stanno a significare che, su una popolazione di 100 corridori, i numeri sopra riportati con quelle doti spiccate sono figli di grandi campioni.
In conseguenza ai risultati dello studio di cui sopra, è facile credere all’ipotesi che campioni si debba nascere. Inoltre, con l’evoluzione della scienza, sono state riscontrare almeno 200 varianti genetiche che sono collegate alle capacità atletiche del soggetto.
Quindi nessuna speranza per chi nasce normodotato ma voglia fare strada nella corsa? Non tutto è perduto, logicamente: ci sono poche cose in grado di eguagliare un assiduo allenamento, proporzionato alle proprie capacità fisiche, ed una sana dose di determinazione. Che talora, laddove associata ad una costanza di ferro, può produrre dei risultati davvero sorprendenti.