Trail dei Brac. Versione 2018. 8a edizione. Una gara non in calendario. Spettacolare, ma soprattutto sudatissimo fuori programma. La preparazione (come altre volte) è un po' scanzonata: la sera prima invece di "a letto presto", festina di compleanno di un amico di Gianpietro. Quindi ottima cena pregara a base di paninetti (Sono stato bravo: ho mangiato solo un tramezzino ecologico. Dosi e qualità assolutamente non all'altezza delle mie capacità onnivore). Bevo coca come se non ci fosse un domani, complici anche i lavori di giardinaggio spinto del pomeriggio. Insomma, il classico sabato da marito, papà e omo de fadiga. Almeno sono riuscito a preparami lo zaino ed i vari personal gadgets così a festa finita (E' qui la festa? reminescenze) mi fiondo a letto. Sveglia ore 5.15. Pietà! Balzo giù dal letto e mi nascondo senza far rumore nel bagno di servizio. Nei sotterranei, non mi sente nessuno. Vestito, attacco la colazione del campione.. ma anche se non ho malesseri evidenti, lo stomaco è un finemente rallentato. Lo sai che è colpa della sera prima. Lo sai che non si fa. Lo sai. Non serve dire altro. Macchina già in strada. Devo andare a prendere il socio RunCard che poco prima del mio arrivo sotto casa, ha delle urgenti pratiche da sbrigare in ufficio di gabinetto.. è il presidente, aspetto. Partenza. Strada normale. Discorsi. Opinioni. Confidenze. Nel frattempo l'indefinito limitare dei rilievi assume contorni sempre più nitidi. La strada piana arriva al Piave. Poi dolcemente sale. Il paesaggio si movimenta ed arriviamo a Follina. I volontari ci fanno parcheggiare in cotanta virgo, "tanto devono correre" è il loro malevolo pensiero. Siamo un po' in ritardo. 7:46. Lasciata l'auto, vaghiamo per Follina. Colleghi più accorti e mattinieri hanno trovato posto in centro, vicinissimi ai gazebo della consegna pettorali. Invidia. Ritiro la ricca strenna, il pettorale e spero di prepararmi. Numero in bella vista sulla canotta Amatori e via a corricchiare. Mi sento abbastanza bene e scarico nella mente. Sono già le 8.00 passate e meno di mezz'ora al via trascorre in men che non si dica. Il socio mi annuncia che stanno chiamando i concorrenti per attivare i chip, così mestamente anch'io mi metto in fila per adempiere a quest'ultimo dovere. Sotto al gonfiabile ritrovo Gabriele che premonitore mi dice: "non correre come le altre volte". Infatti non ho intenzione di correre. Dopo il VNT di Venezia, 4gg di stop e pochi Km nelle gambe, tutti in bici. Non mi pare il caso oggi di chiedere prestazione. Foto da terra "come in Alpago", caciara, conto alla rovescia e SI PARTE! Brevissima passerella per le stradine del paese, poi.. tutti fermi! Si deve passare per un pertugio che porta a costeggiare un canaletto artificiale che convoglia acqua limpidissima. Siamo già fuori l'asfalto. Sopra un solco di ghiaino che divide le poche case dal torrente. Bucolico. Qualche breve chilometro in boschetti, vitigni e strade bianche e comincia quello che ci si aspetta in queste gare: l'incessante salire alla conquista della cima. E qui le aspettative non restano deluse. MAI. Dapprima un assaggio dolce, troppo breve per essere degno di nota, annuncia l'arrivo di sua maestà la salita. Soffro già subito e maledico me stesso per la serata bagorda. "Solo pensieri puri nel giardino della mia mente". Ricaccio nelle profondità della coscienza i pensieri inutili, ma le gambe fino al 7° non girano troppo bene. Intanto si sale. Sono nel gruppo. Retrovie. Con determinazione, saliamo nel bosco. Fitto. Procedo a rilento. Risparmio energie. Andatura prudenziale, ma lentamente tra le foglie e le rocce la traccia nascosta ti sega le gambe e la testa. Sale. Sempre su. Un passo sopra l'altro. Il bosco pare non finire mai. Dov'è il cielo? Dov'è la fine? Ogni tanto una radura offre uno squarcio sul mondo ma è una breve apparizione. Saliamo. 9Km 900D+ già fatti. 1h30' è andata. Finalmente fuori dal bosco, percorrendo prima il fianco erboso e poi un lungo traverso panoramico, vedo due aste con le bandiere bianche e rosse vivacemente mosse dal vento. Penso siano i Canidi e penso alla discesa a Praderadego. Niente di più sbagliato. Sul faticare per arrivare al salto della Forca, il compagno di ventura da tergo, mi interroga sui Km percorsi e si illumina vedendo gli stendardi. "Siamo arrivati alla forcella Foran. Bene. Quello è Col dei Moi". Parlottiamo un po', mi descrive la discesa al Passo e penso che mi stia prendendo in giro. Ho la faccia così sconvolta e provata da meritare consolazione? Il Col dei Moi non è l'ultimo colle da conquistare? E prima, non devo fermarmi al ristoro del passo Praderadego? Scopro allora che altimetria e percorso non sono esattamente quelli studiati sul sito.. Improperi subito sedati dal mantra "solo pensieri puri nel giardino della mia mente" che sta volta stenta a prevalere. In suo aiuto giunge però la conquista della forcella ed il panorama che mi si presenta. Passati i volontari che con zelo indicano la via, mi discosto dal sentiero. Mi arrampico su una collinetta. Voglio vedere cosa c'è oltre. La vista del concorrente non mi basta. Il sudore che imperla la mia fronte e la fatica che martella la mia mente, meritano un premio esclusivo. Sono pochi passi. Intensissimi e carichi di soddisfazione. In un secondo mi sento padrone del mondo, frase altisonante che traspare solo fragilità. Catturo tutt'intorno quello che mi circonda, mi dimentico della gara e ritorno semplicemente uomo. Stupore e gioia. Silenzio…. Lascio sfilare la metafisica dei pensieri per ritornare nel mondo. Riprendo il sentiero che manco a dirlo sale. Sul crinale del colle, le formiche colorate adagio ed imperterrite avanzano. Sulla cresta, lo spazio si dilata e si perde con il cuore che continua a pompare sangue nelle viscere. Sale. E sale ancora. Poi, finalmente, quota 1350 Col dei Moi. La croce. Le foto dei passanti. Gli zaini appoggiati a terra. Le opposte sensazioni di chi corre dominato dal tempo e chi invece cerca di godere di ogni secondo trascorso su quella cima. 2h. In saccoccia 11Km. Pochi. 1150D+ sulle gambe che chiedono un pò di pace. Accontentate! Inizia la discesa al Passo Praderadego, unico punto fermo dell'incertezza che mi aspetta. Da lì', inizierà l'ultima salita. Ma ora è tempo di discesa. A volte facile scivola per carrarecce, spesso tecnica su sentieri angusti che solcano bosco. Sull'ultima ripida, la concentrazione si distrae attirata dalla musica unz, unz, unz che risuona vicina. Siamo al Passo. 910slm. Praderadego. Sbuco fuori dal bosco e su un piccolo pianoro tagliato dalla strada asfaltata si dividono da una parte i volontari ad offrire bevande e cibo tra i gazebo. Dall'altra, l'inferno di MaXi griglie arroventate dalle braci è dominata da sapienti fuochisti. Bevo qualche sorso di coca e decido di prendermi una breve pausa chiedendo ospitalità al girone dei griglianti. 2' Non di più. E' solo un capriccio per assecondare la mente. Lo so. Una sosta breve per illudersi di un fantomatico recupero. Riprendo a correre. Lascio quasi subito l'asfalto. Devio nel bosco. La forestale diventa un sentiero. Penetra sempre più nel cuore degli alberi. Fitti. I cartelli segnavia che incontro solitari nelle intersezioni, mi ricordano di non essere sperduto. 16Km. Poco meno di 3h. Stanchezza. Fatica. La mente che si arrovella sulle gambe dolenti. Penso ai suoi inganni. La fatica è una bufala. Pura fantasia. Il sudore. L'acqua che cade dalla fronte. La bandana madida, pregna di stanchezza e scoramento. E' dura convincersi che la testa stia dicendo cazzate, che sono solo sensazioni. Tutto gioca a mio sfavore. La traccia si inerpica. Dritta. Inesorabile. Un passo avanti all'altro. E' un’agonia. Mi fermo. Non certo per rifiatare. Sono morto. Anche la volontà vacilla. E' un tempo interminabile. E non sembra mollare mai. Gioca e si diverte sulla mia sofferenza. Proseguo. Cerco il fiato. Il gruppo è ormai sgranato. Sono in compagnia di altri due dannati. Scambio di posizioni, mascherati da gentilezze fino a quando sopra le punte degli alberi spunta l'azzurro del cielo. Lentamente, stremato, vedo sempre più il mondo di lassù. Il ciglio sottile che confina terra e cielo. Gli alberi diradano e la luce penetra come una lama tra i rami. Quiete. Giorno ed oscurità. Dopo un breve e ripido traverso, un varco tra i pini. Una rampetta chiusa tra due paletti, sfocia nell'infinito. E' la fine. Il culmine è mio. Questa visione mi ridà vigore e raschiando il fondo del barile, esco allo scoperto. Conquisto il cancello per il paradiso e mi ritrovo in cima. Una larga e placida carrareccia. 1245slm. Canidi. Ristoro. 17Km. 3h15' di viaggio. Appena il tempo di bere un bicchiere. Appena il tempo di accorgersi di essere in un posto bellissimo. Appena il tempo di godere di quello che mi circonda. Capire dove sono. Mi aspetta un lungo ed estenuante traverso che alterna la traccia su facili forestali ai tagli nel bosco. E' un massacro. Ho una costata al sangue al posto del piede sinistro. Un bagno idropneumatico di vesciche. Fa un caldo pesto ed anche l'aria è scomparsa. Tutt'altro che rilassante, macinare ancora Km in altura sta diventando snervante. E’ snervante. Sempre più spesso sono solo. Solo con i miei pensieri. Solo con la mia fatica. Con lo spettro nemmeno tanto distante di finirla qui. Al prossimo passo, basta. Mentre cerco di riorganizzare la testa, intanto corro. Corricchio. Cammino. Stento. Affanno. Non mollo. E' davvero lunga. lunga. Eterna. In questo perenne movimento in qualche modo arrivo alla fine. 22Km. Sotto le 4h. Inizia la discesa. Finale. Dovrebbero mancare 4Km. Dovrebbero. Mi inganno pensando che a 6'/Km sono 25'. Ho sentito nitidamente le unghie stridere sullo specchio. Infatti, siamo ancora alti e dobbiamo perdere quota. Pochi Km e tanto dislivello da fare. Brutta faccenda. Scendo. Sono un calzino usato dopo una serata estiva in discoteca. Ho quasi perso il controllo del mio corpo. I segnali d'allarme sono un suono continuo che mi lascia quasi indifferente. Movimenti automatici. Apatici meccanismi. Per fortuna una spalla sconosciuta si avvicina. Come una manna, si affianca e corre con me. Ci scambiamo brevi parole. impressioni. Ci confortiamo a vicenda. Sostegno sincero. E' un grandioso regalo. Quasi dimentico la fatica. Così con lui si riprende. Mi riassesto e ritrovo un pò più di consapevolezza. 24Km. Scendiamo ma siamo ancora troppo alti. 800slm. Troppo che diventa pochissimo. Uno scivolo ci porta giù per direttissima fino a Follina. E' un sentiero dritto. Ripido. Tra le rocce, le foglie secche. Bisogna fare attenzione. Si scivola. Resto in piedi per caparbietà e finalmente, dopo 27Km ritrovo il tratto iniziale che costeggia il Torrente Corrin. Il mio nuovo amico mi ha ceduto il posto. E' incredibile come la vista delle prime case, l'acqua e poi il bitume mi rigenerano tanto da farmi spingere, tanto da farmi accelerare. Il puntino arancione davanti a me diventa un uomo. Lo saluto. Vado oltre. Transito sull'asfalto arroventato dal sole e nei brevi passaggi all'ombra delle case, un altro ragazzo cerca stentatamente di correre. Supero anche lui. Continuo a pedalare. Veloce. Brevissima salita (BASTAAAA!!!), secca a sinistra e giù verso il campo da calcio. MANCA POCO. Riaggancio la strada. Ancora una curva a sinistra e sono nel viale. Sento chi pazientemente mi aspetta gridare: "è arrivato papà!" Mentre cerco con lo sguardo di incrociare i loro occhi, Francesca è già sulle transenne con Gianpietro calato nella pista. Gli ultimi metri che mi separano dal gonfiabile, corro con lui. Lo travolgo. Inciampa. Mi dà la mano e si tira su. Siamo io e lui. Gianpietro. Verso la vittoria. Corre con me ed io con lui. E' un sogno vero che appaga una sofferenza tosta. La vincita è tutta sua, come la medaglia che orgogliosamente porta al collo. Ne fa bella mostra con me, e con il suo sorriso mi ricorda che: "vincio io!". 28Km. 1900D+. 4h35'. See you Trail dei Brac. Quanto senso possa esserci in una immane fatica racchiusa in una corsa di pochi metri con chi ami, è un grande privilegio che la stropicciata parola "grazie" pare a volte, incapace di contenere.
Matteo Besazza