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venerdì 1 settembre 2017

Il differenziale che differenza fa? Il drop delle scarpe da running

Ok il titolo è quello che è, ma l'argomento è sicuramente attuale. Negli ultimi anni nelle scarpe da running ci sono forti cambiamenti che coinvolgono soprattutto le scarpe più acquistate, quelle che ,anche se la classificazione sta iniziando ad essere superata, appartengono alla vecchia categoria A3, massima ammortizzazione, e alla vecchia categoria A4, le protettive stabili. Ne avevamo già parlato nel MANUALE del PRINCIPIANTE D.O.C. episodio della scelta delle scarpe . La ricerca è fortemente focalizzata sugli obiettivi: leggerezza, ammortizzazione,controllo e quindi performance. Dici poco. Questa ricerca è stata inevitabilmente contaminata dalla corrente del natural running, che pochi anni fa è arrivata come un fulmine a ciel sereno nel mercato, condizionando anche chi non ha seguito la corrente e creando i due partiti: corriamo come madre natura ci ha creato oppure come abbiamo sempre corso negli ultimi decenni, cioè con il massimo ammortizzato possibile e un dislivello tra retro e avampiede? Quando ascolto chi sostiene la "corsa naturale" con le teorie "corriamo come i nostri antenati, a piedi nudi, siamo stati creati così", penso sempre: siamo sicuri che all'epoca ci fossero milioni di runner che correvano dai 30 ai 120 km a settimana dopo il lavoro? Io credo che si corresse solo per necessità, esclusi forse gli sportivi al tempo dei greci e dei romani. Credo anche che, se nell'età dello sviluppo hai corso con scarpe protettive, poi è dura a 30/40/50anni dire al tuo corpo adesso corri come il tuo tris tris tris nonno. Infine parliamo di essere umani che a 30 anni erano considerati decrepiti, che avevano qualsiasi forma di artrite o di patologia immaginabili. Detto ciò , a mio parere, produrre scarpe minimaliste è democratico, è giusto andare incontro ai gusti e alle opinioni di tutti e in verità bisogna dire che chi insegna la corsa naturale propone un percorso propedeutico graduale. Perdonate l'ampia parentesi, stavamo dicendo che il minimalismo ha contaminato la ricerca e ha dato un contributo importante. Il più grande successo del minimalismo, secondo me, è che ha portato a cancellare l'assioma "+ ammortizzazione= + peso". Oggi i materiali più leggeri, ma anche più resistenti, utilizzati per la tomaia e l'intersuola garantiscono scarpe con stesso grado di ammortizzazione, ma con meno peso, il che significa anche meno infortuni, dato che a volte le zavorre ai piedi ne erano la causa. Veniamo ora al nucleo dell'articolo: il differenziale.

Il differenziale , o drop, è la differenza d'altezza tra tallone e avampiede a livello di intersuola;il piede nella scarpa quindi è inclinato dei gradi determinati da questa differenza.

Le scarpe minimaliste hanno un differenziale ridottissimo questo, insieme alla ricerca di scarpe più performanti, ha portato anche a ridurre il differenziale nelle A3 e A4 dai 14/12mm ai 10/8 mm di oggi, in tantissimi casi. Asics e Adidas si attestano sui 10mm (eccezione ASICS KAYANO 13mm), Brooks sui 12 e 10 e ha un modello (TRANSCEND) da 8 mm e le Ravenna(A4) da 10, Mizuno 12 mm, New Balance spazia dai 12 fino ai 4 (le M890), Nike 10, Saucony 8mm. (dati 2014/2015)

Possibile che 2/4 mm facciano la differenza?
Sì e non poca. Con una scarpa a 12mm il piede tende a compiere una rullata intera tacco,mesopiede,punta. Con un differenziale inferiore la catena tricipite surale (polpaccio)- tendine - piede resta più allungato e viene naturale atterrare più verso il mesopiede o addirittura la punta, cambiando l'appoggio del piede e anche la postura del nostro corpo. Provate a correre con le scarpe poi a piedi nudi. Vi accorgerete di come atterate in modo diverso.
Vediamo, ora i vantaggi di chi sostiene la riduzione del differenziale:
- Maggiore reattività nella corsa data dall'intervento maggiore del mesopiede e dell'avampiede nella falcata e un accumulo di maggiore energia elastica per il maggiore allungamento di polpaccio+tendine
-Atterrare sul mesopiede è più naturale e dovrebbe portare meno infortuni perchè riduce il carico a livello delle ginocchia
Chi invece non è a favore alla riduzione:
- L'allungamento del tricipite surale e del tendine e la sollecitazione in generale maggiore porta ad infortuni proprio a carico di questi
- La maggiore spinta aumenterebbe falcata riducendo la frequenza e non avendo poi tutto questo vantaggio sulla velocità

Allo stesso tempo bisogna dire che alcune case hanno ridotto i drop, ma alzato l'altezza da terra, aumentando la protezione e aumentando la stabilizzazione (sempre le TRANSCEND di Brooks, scarpe per neutri, con questo sistema insieme ad altri accorgimenti possono essere usate anche da chi ha una pronazione fino a moderata, oppure le HOKA hanno modelli Maxi, altissime da terra, ma con drop ridotti).

Chi ha ragione? Per fortuna tutti. Ma anche nessuno.La scelta delle scarpe è, fortunatamente soggettiva. Se ho corso 10 anni con scarpe a 14 mm senza infortuni perché dovrei passare a 8mm dovendo passare un periodo di adattamento che non so nemmeno a cosa mi porterà?. Se invece ho una corsa efficiente e già naturalmente vado in spinta, è assolutamente una grande opportunità avere scarpe a 8mm, ma anche a 4mm, per spingere al meglio.
Se fossi un produttore terrei conto di uno spettro ampio, ma soprattutto più che provare a condizionare i runner, dicendo che una scelta è migliore di un'altra, proverei piuttosto a seguire l'esigenze diverse di tutti, ovviamente coerentemente alla filosofia aziendale. In un certo senso molti hanno fatto così restando tra i 10 e i 12 e avendo almeno un modello anche minimalista. A volte però ho l'impressione che siamo noi che dobbiamo adattarci alle scarpe e non viceversa. Noi runner però siamo sempre di più ed è giusto che ci sia un cambio di tendenza.

Sono un runner curioso, voglio cambiare anche perchè credo che andrò più veloce, che ne dici?
Dico ancora una volta evviva la democrazia! Ti consiglio però di fare un cambio graduale, di non scendere di troppi mm subito, ma soprattutto di alternare i modelli ed introdurre il modello con differenziale ribassato nei lavori veloci e non troppo lunghi.

Infine un'osservazione, che ho fatto stamani correndo, pensando a cosa avrei scritto in questo articolo che ho in testa da mesi. I nostri piedi rullano a 3 dimensioni, non a 2. La maggior parte delle nostre strade dove corriamo è a schiena d'asino (la superficie è concava verso il basso per permettere i defluire delle pioggie ai lati della strada) e spesso corriamo sul ciglio. Non è che tutto il discorso sull'appoggio determinato del differenziale viene inficiato da questo fatto?


Fonte: https://runner451.blogspot.it/

venerdì 18 agosto 2017

Una corsa più efficiente? Fai attenzione a dove appoggi il piede


Ognuno di noi ha il proprio “modo” di correre, che non va stravolto. Bastano pochi accorgimenti però per migliorare la propria corsa e prevenire infortuni da sovraccarico.

Cercheremo ora di capire meglio gli aspetti posturali legati alla differente tecnica di corsa: oltre che per la capacità di ammortizzazione delle forze al terreno, il controllo del nostro corpo durante la corsa è molto importante sia in termini di efficienza, sia per prevenire le problematiche muscolari e scheletriche tipiche del corridore.


La premessa
È importante premettere che ciascun corridore tende a “settarsi” nella gestualità di corsa a lui più congeniale e teoricamente a minor costo energetico. Modificare l’impostazione della corsa in runner abituali che non presentano problematiche potrebbe comportare in alcuni casi non solo un peggioramento della resa della corsa, ma anche alterazioni che potrebbero riflettersi in sintomatologie dolorose dovute a sovraccarico delle strutture muscolari e scheletriche che vengono utilizzate e sollecitate diversamente dall’abitudine.

Tuttavia molti runner, in special modo i principianti, non hanno mai “imparato” a correre e non possiedono una buona tecnica di corsa. Inoltre, alcuni aspetti posturali e biomeccanici della corsa possono predisporre a sovraccarico di determinati distretti corporei rispetto ad altri e favorire l’insorgere di patologie.


Punto di appoggio e centro di gravità
Dovendo riassumere in un unico concetto un’impostazione della corsa più utile all’ammortizzazione delle forze di impatto al terreno e alla prevenzione delle patologie tipiche del corridore, possiamo prendere in considerazione la distanza tra il punto di appoggio e il centro di gravità del corpo. Questa distanza, che già di per sé è inferiore nella corsa rispetto a quanto avviene nel cammino, si riduce progressivamente in funzione dell’incremento della velocità.

Durante una corsa di durata a ritmo costante quanto più riusciremo a mantenere il punto di appoggio al terreno vicino al centro di gravità del corpo, tanto più saremo in grado di “controllare” e assorbire le forze di impatto al terreno ottimizzando la biomeccanica della nostra corsa. Non si tratta quindi di discutere della tipologia di appoggio al terreno (ovvero di tallone, mediopiede o avampiede), ma di quanto riusciamo a mantenere il contatto al terreno vicino al nostro corpo conservando un assetto posturale di tipo “neutrale”, anche indipendentemente da come appoggiamo. Vediamo di spiegare meglio questi concetti con l’aiuto di qualche immagine!


Se l’appoggio è lontano dal corpo…
Nelle figure 1 e 2 notiamo due diversi stili di corsa entrambi accomunati da un appoggio del piede lontano dal nostro corpo, denominato “overstride”. In questi casi la capacità di attutire l’impatto al terreno risulta limitata indipendentemente dalla tipologia di appoggio al terreno.

Figura 1

Nella figura 1, l’atleta assume una postura “seduta” con tratto lombare appiattito, scarso utilizzo dei glutei e limitata estensione d’anca.

Nella figura 2, l’atleta tende a flettere anteriormente il tronco assumendo una postura in chiusura, che limita la capacità di ammortizzazione dell’impatto al terreno per via della flessione d’anca accentuata – spesso legata ad accorciamenti dei muscoli anteriori dell’anca (ileopsoas) e debolezza degli estensori (glutei e tronco) – con conseguente aumentata estensione di ginocchio per compenso.


Figura 2

Queste posture sono classicamente associate alle caratteristiche sotto elencate, rendendo in definitiva la corsa meno efficiente:

  1. Contatto del piede distante dal centro di gravità del corpo
  2. Aumento della fase frenante e delle forze di reazione al suolo
  3. Ridotto utilizzo di energia elastica per la fase propulsiva
  4. Aumento del tempo di contatto al suolo
  5. Aumento dell’oscillazione verticale
  6. Aumento di rotazione del tronco
  7. Maggior costo energetico e utilizzo di muscoli accessori
  8. Ridotto allineamento dei segmenti corporei
  9. Ridotta cadenza.
  10. Se l’appoggio del piede è sotto il centro di gravità…

Nella figura 3 possiamo invece notare una tecnica di corsa più efficiente caratterizzata da un appoggio del piede sotto il centro di gravità e da un corretto controllo attivo della postura del corpo e in particolare del tronco.

Figura 3

Le principali caratteristiche biomeccaniche e posturali di questa tipologia di corsa sono:

  1. Appoggio del piede vicino al centro di gravità
  2. Ridotto tempo di contatto al suolo
  3. Riduzione dell’oscillazione verticale
  4. Minor rotazione del tronco
  5. Minor costo energetico e utilizzo di muscoli accessori
  6. Miglior allineamento dei segmenti corporei
  7. Elevata cadenza.
  8. Ne risulta in definitiva una corsa meno traumatica e più efficiente.

Leve instabili? Un disastro
Per riassumere in uno slogan quanto discusso in questo articolo riprendendo le parole di Jay Dicharry, noto studioso statunitense di biomeccanica della corsa: ”High forces through unstable levers is a recipe for disaster” ovvero la trasmissione di forze elevate attraverso leve instabili è la miglior ricetta per il disastro!

Vedremo prossimamente quali gruppi muscolari e quali esercizi potranno aiutarci a costruire “leve” più stabili.


Fonte: http://allrunning.it


venerdì 4 agosto 2017

Sei pigro ma vuoi correre una maratona? Si può fare!


Nei sogni di chiunque corra (o inizi a farlo) c’è l’affrontare e concludere una maratona: la distanza regina della corsa, quella che ha ucciso Fidippide nell’antica Grecia e di cui tanto senti parlare, scrivere, mitizzare. È una distanza, 42,195 chilometri, che va affrontata con molto rispetto ma può anche essere approcciata in modo più leggero, con l’unico scopo di uscirne indenni (e vincitori).

L’essere vincitori a una maratona non significa arrivare primi (quelli sono i SUPER vincitori) ma – semplicemente – concluderla, arrivando al traguardo vivi, vegeti e sorridenti. Per questo motivo esiste un metodo che – anche se farà storcere il naso ai “puristi” – ti permette di allenarti e affrontare i 42K in un tempo breve, seguendo un metodo facile.


Il metodo Run – Walk – Run
Quando ci si alza dal divano per la prima volta, magari seguendo il nostro programma per iniziare a correre, il segreto è farlo gradualmente, alternando la corsa e la camminata in modo da rendere la transizione il più dolce e indolore possibile. Questo è il Metodo RWR. Ma cosa succede nel momento in cui continui a utilizzare questo stile di corsa anche quando inizi a essere un po’ più allenato?
Succede che puoi aumentare le distanze in modo molto più veloce che con la corsa semplice.


Dipende dalla tua testa
L’ostacolo più grande quando si corrono grandi distanze è la nostra mente. Chiedi pure a chiunque, a chi corre da 30 anni o da 30 giorni, tutti ti diranno che il successo nella corsa lo costruisci con la mente.
Nello stesso modo, anche con questo metodo di corsa, la testa ti guida e decide il tuo successo. Dovrai seguire con grande disciplina il tuo ritmo, anche quando vedrai gli altri concorrenti sorpassarti mentre cammini, perché da questo dipende il tuo obiettivo. Soprattutto all’inizio, sentirai le gambe energiche e leggere, ma dovrai pensare che – con il tuo ritmo – non incontrerai nessun “muro” dopo il 30° Km e non avrai crampi alla fine. Riuscirai a correre la tua maratona, godendotela, con il solo sforzo di sapere che è irrilevante il tempo, conta arrivare in fondo.
Con questo metodo è più facile gestire la fatica. Se hai le gambe affaticate, pensare di correre altri 15 Km può essere difficile, mentre sapere che da lì a 5 minuti potra camminare per un minuto e recuperare può essere un grandissimo ristoro mente e motivazione.


E poi dalle gambe
Alternando la corsa con la camminata diminuisce lo stress a muscoli e articolazioni ma, non per questo, non serve allenamento. Il RWR è solamente un metodo che ti permette di coprire distanze maggiori ma, se non sei allenato, difficilmente riuscirai a correre una maratona. Quindi parti dal nostro programma per iniziare a correre e poi aggiungi ripetizioni. Vedrai costruirsi e avvicinarsi il tuo obiettivo in un tempo davvero veloce. Certo, ci metterai un po’ di più, ma sicuramente ce la farai.


Come funziona?
Il bilanciamento tra corsa e camminata è dato ovviamente dal tuo grado di preparazione. Ad esempio, se generalmente corri a 4’30″/Km potrai adottare un rapporto di 12:1 (ossia correre 12 minuti e camminare per 1) mentre per un runner da 6’/Km il rapporto è molto più confortevole (6′ run + 2′ walk). Sono sicuro che anche solo a sentire queste cifre stai tirando un sospiro di sollievo, vero?! Chiaramente non potrai pensare di fare il tuo personal best ma avrai la certezza di finire la gara (ci sono atleti che affrontano le maratone agli Ironman seguendo questo metodo).

È sufficiente allenarsi e imparare a conoscersi per seguire le nostre sensazioni e capire con che frequenza interrompere la corsa per camminare. Ciò che conta è non essere MAI esausti ed esaurire le energie.


Si va molto più piano?
Generalmente sì, però il record sulla maratona usando questo metodo è di 2h28′ e io, in tutta sincerità, ci metterei la firma per un tempo del genere. ;)


Fonte: www.runlovers.it

venerdì 7 luglio 2017

Come pulire le tue amate scarpe da running


Chiedete alle vostre scarpe da running di proteggere i vostri amati piedi e di portarvi ovunque. Non pensate che meritino un corrispondente rispetto?
Allora tenetele pulite, così saranno belle e lucenti come quando sono uscite dal negozio.
Farlo è semplice. È una procedura che dovrete fare periodicamente: quando le avete usate in mezzo al fango o sotto la pioggia e si sono riempite di terra e detriti o anche ogni tanto, anche se non sembrano proprio sporche: la polvere della strada le sporca comunque. Volete dimostrargli quanto le amate? Dai!

In dieci mosse.


  1. Se sono molto infangate mettetele al sole o comunque ad asciugare. Una volta asciutte battetele fra di loro come se batteste le mani. Il fango secco si staccherà.
  2. Rimuovete la soletta ed eventualmente anche i lacci
  3. Immergete in una bacinella ricolma di acqua tiepida a cui potete aggiungere un po’ di detersivo non aggressivo (ce ne sono anche di specifici per le scarpe da running) le scarpe, le solette e i lacci
  4. Strofinate la tomaia, la soletta e la suola con una spazzola con setole non troppo dure o con un vecchio spazzolino da denti. Evitate accuratamente di metterle in lavatrice: la temperatura potrebbero danneggiare gli incollaggi e le cuciture
  5. Rimuovete eventuali detriti dalle scolpiture della suola
  6. Risciacquate con acqua tiepida fino a rimuovere tutto il detergente
  7. Lasciate che l’acqua coli ed eventualmente strizzate un po’ la tomaia per accelerare il processo
  8. Mettete le vostre amate scarpe ad asciugare lontano da fonti di calore dirette (radiatori, phon ecc.) che potrebbero danneggiare e alterare i collanti usati per unire tomaia e suola oltre ad alterare la forma della scarpa: in estate lasciatele all’aperto in penombra. In inverno… armatevi di santa pazienza (ci vorranno 1/2 giorni per ottenere una perfetta asciugatura). Eventualmente usate della carta di giornale o carta assorbente appallottolata per assorbire meglio l’umidità interna
  9. Ricomponetele
  10. Rimettetevele ai piedi, stimatevi e ora: a correre!


Fonte: www.runlovers.it

venerdì 2 giugno 2017

5 ESERCIZI PROPRIOCETTIVI UTILI PER LA CORSA


Correre è liberatorio. È uno sfogo naturale. È molto più di uno sport: è passione, rivincita personale, superare costantemente i propri obiettivi, riuscire a farcela. Ma il running, come tutti gli sport, influisce e non poco sul corpo umano. Vuoi per le distanze da percorre o per il suolo scelto per la corsa ma il nostro organismo risente moltissimo delle scelte che facciamo quando ci allacciamo le scarpette. Ecco perché oggi ci sembra oppurtuno parlare degli ormai famosissimi esercizi propriocettivi per la corsa. Noi di Tripkly abbiamo individuato i 5 più importanti per un buon allenamento…


Cosa sono gli esercizi propriocettivi?
Con esercizi propriocettivi intendiamo quegli esercizi pensati ad hoc per “difendere” muscoli ed articolazioni. La propriocezione è la percezione che abbiamo del nostro corpo quando è a riposo ma sopratutto quando è in movimento. La propriocezione è un meccanismo di difesa nei confronti di eventuali lesioni ad articolazioni e muscoli. E sopratuttto per noi runner questi tipi di esercizi sono importantissimi. Soprattutto per gli outdoor runner! Inciampere su un marciapiede, un gradino, un sasso o scivolare sull’erba bagnata o affondare il piede nella sabbia sono alcuni esempi di piccoli incidenti che potrebbero compromettere le articolazioni degli arti inferiori. Se il muscolo non reagisce con velocità e forza, la lesione è dietro l’angolo! Una sorta di difesa per gambe, polpacci, cavaglie, ossa metatarsali e dita. Ecco perché abbiamo preso in considerazione 5 tipi di esercizi propriocettivi da poter fare semplicemente in casa prima di uscire a correre…


Skipping dinamico
Lo skipping dinamico prevede una corsa in avanti e una indietro, sollevando le ginocchia il più possibile da terra. Si dovrà cercare di “atterrare” sulle punte dei piedi. L’esercizio procede in questo modo: una decina di passi in avanti ed immediatamente una decina di passi indietro. Almeno 5 serie.


Split
Da una posizione verticale cerchiamo di allungare il più possibile una gamba in avanti, senza muovere mai il piede d’appoggio. Dobbiamo evitare assolutamente uno “squilibrio” laterale che affaticherebbe le caviglie e la gamba di terra. Ovviamente di fondamentale importanza è il busto che, in qualsiasi momento, dovrà mantenere una posizione di verticale e in equilibrio.


Equilibrio su una gamba
È forse l’esercizio propriocettivo più semplice e al contempo più completo. Dalla posizione di riposo stendiamo una gamba in avanti, quanto più possibile, e successivamente all’indietro. Cerchiamo l’equilibrio con la posizione aperta delle braccia e per evitare che il tronco si sbilanci eccessivamente. Come in una sorta di pendolo spostiamo la gamba in avanti e indietro, in una continuità di serie.


Passaggi laterali con frenata
Molto simile all’esercizio precedente. In questo caso, però, il movimento è laterale. Facciamo 2 o 3 passi laterali e ci arrestiamo con uno solo, cercando di tenere il tronco il più stabile possibile.


Squat con fitball
Per questo tipo di esercizio abbiamo bisogno di un attrezzo, ovvero la fitball la famosa palla utilizzata in aerobica. E la mixiamo agli esercizi più famosi degli ultimi anni, quelli più amati delle donne, ovvero gli squat. Appoggiamo la fitball ad una parete liscia, e la nostra schiena sulla fitball stessa. Iniziamo a scendere delicatamente su una sola gamba, piegando il ginocchio mentre l’altra gamba si alza con piede a martello e braccia parallele. Abbastanza “duro” ma di grande “impatto” per le articolazioni.

Come avrete potuto vedere si tratta di esercizi davvero semplici! Ma di fondamentale importanza per “allenare” ogni singolo legamento, ogni singola articolazione o muscolo e “gioire” dell’attività fisica, godendosi la corsa fino in fondo!


Fonte: www.tripkly.com

domenica 28 maggio 2017

Una corsa tutta… in discesa: quanto conta il mental coach?


Lo psicologo diventa la marcia in più del runner, in grado di “ripulire” la sua mente e renderla più forte di fronte alla prossima sfida. Siete d'accordo?

La prestazione agonistica è il frutto di un equilibrio tra diversi fattori che riguardano la componente energetica-nutrizionale, quella tecnica-condizionale e quella psicologica. Delle tre quella psicologica desta particolare curiosità. I motivi di questo crescente interesse verso gli aspetti mentali nascono dal fatto che siamo di fronte a un notevole cambiamento culturale.

Benessere emotivo e performance

La figura dello psicologo è sempre più riconosciuta come un supporto professionale a cui le persone si affidano per meglio esprimere il proprio potenziale, imparando a proteggere e accrescere la propria autostima. È un fatto che le nuove generazioni di atleti siano più consapevoli di come il benessere emotivo sia alla base del loro successo. Sono molte le testimonianze e le storie di atleti di alto livello che hanno affrontato un lavoro introspettivo trovando beneficio e qualità nella loro attività sportiva di vertice. Dietro a ognuno di loro c’è prima di tutto una persona che, come tutti noi, attraversa sfide, difficoltà e situazioni differenti durante il corso della carriera sportiva.

La consapevolezza, l’arma in più del runner

Le emozioni rappresentano il nucleo della nostra persona e hanno a che fare con la nostra soggettività e con la percezione di noi stessi e del mondo. Non c’è una regola chiara per cui un atleta vive la competizione come una “sfida” e un altro come un “martirio”. Capirlo e capirsi diventa quindi un fattore chiave.

Negli ambienti sportivi di alto livello l’inserimento di una figura professionale per la cura degli aspetti psicologici degli atleti è una scelta al passo con lo sport di oggi. Appartengono a un recente passato i pregiudizi sull’intervento di mental coaching dove lo psicologo serve a chi ha problemi psicologici e il suo intervento è utile nel caso di patologie mentali particolari. O l’altra idea per cui se uno inizia ad andare dallo psicologo non finisce più.

Gli interventi nell’ambito sportivo sono sempre più strategici e brevi e l’obiettivo rimane quello di dare strumenti per esercitare la mente a essere più autonoma e più flessibile. Dobbiamo rassicurarci e ammettere che una maggiore consapevolezza non è segno di patologia o di problemi mentali, ma semplicemente un’arma in più per rendere la nostra mente più limpida e pronta di fronte alla prossima sfida.


Fonte: allrunning.it

venerdì 26 maggio 2017

Perché allenarsi in pista


Ci sono molti motivi per i quali correre in pista è importante: aumenta la resistenza e la velocità e non solo

Correre è un’attività bella anche perché la pratichi all’aria aperta. A tutti piace uscire dai luoghi chiusi in cui passiamo la maggior parte della nostra giornata e respirare un po’ di brezza. Ma diciamoci la verità: farlo su pista ci fa sempre pensare di essere dei criceti. Giri in tondo e passi il traguardo. Poi riprendi e fai un altro giro. Quella è la tua strada e puoi solo girare a sinistra o andare dritto. Ma qui viene la parte interessante: in pista puoi e devi fare cose che per strada non faresti mai.


La pista non è una strada
Per strada incontri buche, semafori, auto e bici, pedoni lenti, curve e cambi di livello (in una giornata buona). In pista occupi la tua corsia e pensi solo a correre. Ma ovviamente non lo fai come lo faresti per strada: in pista ci vai per fare allenamenti mirati e per testare i tuoi limiti e per superarli. La pista è fatta per la velocità e gli esercizi al limite e oltre. Inoltre sei in un ambiente controllato: non ci sono cambi di livello, non ci sono ostacoli imprevisti o stop da rispettare. Per questo, a differenza della strada, la pista ti permette di essere molto più focalizzato sulla prestazione e in ascolto del tuo corpo perché riduce le distrazioni, fino quasi a eliminarle. Siccome in pista ti spremi come un limone, non ti preoccupare se dopo 40-45 minuti non hai più forze: la durata di un allenamento sul tartan (il materiale che riveste la pista) è inferiore del 15-20% a quello su strada. Sei più concentrato e lavori al limite, preparando il corpo in maniera diversa e allenando la resistenza allo sforzo e la risposta dei muscoli. La pista serve insomma a eliminare ogni elemento di disturbo e a permettere di allenarti nelle condizioni di superficie e ambientali ideali: sai quanto lungo è un giro (400 m) e corri su un binario. Non devi pensare ad altro.


Aumenta la tua resistenza e la tua velocità
La corsa è un’attività aerobica: fai uno sforzo prolungato che non limita l’ossigenazione dei muscoli. Al contrario, l’attività in pista è più esplosiva e quindi anaerobica: il tuo corpo richiede energia fresca, subito. Oltre una certa soglia di tempo (dopo circa 20 minuti di attività anaerobica), il tuo organismo produce l’acido lattico che spezza la molecola di glucosio e la trasforma in energia. Ma l’acido lattico in circolo ti provoca anche dolori muscolari. Per questo allenarsi in soglia anaerobica ti abitua a gestirlo meglio, sopportandolo e facilitandone l’eliminazione. Il risultato sarà un apparato muscolare più forte e capace di sopportare sforzo più prolungati avvertendo meno la fatica. Ti sta già sanguinando il naso per la spiegazione? Dai, è finita qui. Ora parliamo solo di cosa fare quando sei in pista.


Come prepararsi
Prima di iniziare la sessione scalda i muscoli: un paio di giri di campo a media velocità ti servono a dire al tuo corpo che stai per usarlo. Un po’ di stretching farà il resto. Siccome l’attività che farai prevede movimento, è preferibile lo stretching dinamico invece che lo statico: fai per esempio qualche minuto di skip o skip inverso.


È ora di correre!
Ti sei scaldato e ora è giunto il momento di scegliere una corsia e iniziare a correre. L’allenamento in pista non è un lavoro continuo e costante come la corsa su strada ma è fatto di esplosioni di energia e recupero. Questi sono degli esercizi tipo che puoi fare:

4 o più giri di pista a velocità sostenuta: Devi correre veloce ma non al massimo per un certo numero di giri. Questo esercizio deve sempre essere interrotto da una fase di recupero dopo ogni giro (60-90 secondi), per abituare il corpo a gestire l’acido lattico prodotto. Non devi correre a bassa velocità perché non ne produrresti, ma neanche così forte da sfiancarti. Prenditi il tempo a ogni giro e cerca di batterlo di un po’ a ogni giro successivo.

Hollow Laps: sono giri a velocità variabile: corri piano in curva e poi acceleri nei rettilinei al massimo. Serve a sviluppare e a gestire l’acido lattico, oltre ad apportare i benefici dei cambi di ritmo.

La scaletta: quando fai le scale vai lentamente in salita e velocemente in discesa, con conseguenti sforzi (tanto nel primo caso, meno nel secondo). Questo allenamento fa lo stesso, ma invece degli scalini ci sono le distanze. La regola è semplice: al crescere della distanza applichi meno sforzo e viceversa al decrescere. Esempio: 800 metri (2 giri di campo) a velocità bassa + 400 a velocità media + 200 a velocità sostenuta + 100 a velocità massima. Puoi anche farlo al contrario, partendo al massimo e decelerando negli ultimi giri. Ecco, sei salito e sceso dalle scale :)


Un po’ di galateo
In pista non ci sei solo tu ma ognuno occupa una corsia alla volta. Per sapere quale, sappi che quella più interna è esattamente di 400 metri e le successive verso l’esterno sono più lunghe per questioni geometriche. L’interna è anche quella usata da chi corre più veloce. Potresti essere tu (bravo!) ma nel caso in cui qualcuno ti raggiunga alle spalle perché va più veloce spostati nella corsia a fianco, controllando ovviamente che non ci sia nessuno (metti la freccia insomma). In genere chi sopraggiunge richiama l’attenzione di chi si trova di fronte chiamando “Pista”, per reclamare appunto il suo spazio.
Infine, non fare le fasi di recupero in cui cammini piano o ti fermi piantandoti in mezzo alla corsia: spostati fuori dalla pista, riposati e poi rientra. E non dimenticare mai di guardare se arriva qualcuno: la pista è un po’ come la strada e ha le stesse regole: rispettale e avrai un’esperienza impegnativa ma utile a costruire il tuo fisico per affrontare la prossima sfida su strada.


Fonte: www.runlovers.it

venerdì 19 maggio 2017

Lo sforzo in maratona: impariamo a distribuirlo per fare meglio


Come ricordato nella prima parte dell’articolo, sono molti gli aspetti/le variabili che influenzano la prestazione: la preparazione svolta (il troppo allenamento o il poco allenamento), la tipologia di percorso, il grado di esperienza dell’atleta, le condizioni climatiche, le dinamiche di gara con altri avversari/amici, l’ambiente/il percorso di gara (il correre in città davanti a tanta gente porta spesso a strafare), il corretto e necessario periodo di scarico pre-gara, il non eccedere con le competizioni nel periodo che precede la maratona, la bravura dei pacer e molto altro.


La gara “ideale”
L’obiettivo ideale, l’abbiamo già scritto, è avere due metà gara sovrapponibili e corse in uniformità di ritmo. Nella realtà, analizzando e tagliando per fasce di risultato/prestazione, più o meno (e lo dicono i numeri) “sbagliano” quasi tutti.

Dopo aver analizzato le prestazioni da 2:10 a 3 ore, soffermiamoci su chi impiega da 3:30 a 5 ore.


Da 3 ore a 3:30
Gli atleti/e di questa fascia di prestazione sono i più numerosi (unitamente alla fascia da 3:30-4 ore) e per loro l’errata distribuzione “costa” ancora di più; il dato medio tra la prima e la seconda parte di gara è un significativo 6’18”; pensate quanti possibili primati personali vanno…. in fumo così!


Da 3:30 a 4 ore
È la fascia più numerosa analizzata (da sola vale un quarto del totale) e qui il differenziale medio è ancora più ampio: 9’27”. Balza all’occhio che la maggior parte di questi atleti affronta i primi 21,097k a una velocità troppo elevata per il proprio grado di allenamento. Sarebbe opportuno agire su adeguati lavori specifici di educazione al ritmo maratona e valutare a pieno se gli allenamenti sono stati adeguati o sbilanciati.


Da 4 ore a 4:30
Per questi atleti/e (fascia anch’essa discretamente numerosa) il dato è ancora di più significativo, con un differenza tra la prima metà e la seconda di ben 15’31”. Non vuol essere una critica, ma ciò può significare una preparazione non adeguata o incompleta e, per altri (magari allenatissimi), il non conoscersi a pieno o il sovradimensionarsi.


Da 4:30 a 5 ore e oltre
Il differenziale è ovviamente sempre più marcato; per questa fascia siamo a 26’23”, un dato che cresce a 33’28” per la fascia 5 ore/5:30 per assestarsi a quasi 40 minuti (39’57”) per quella 5:30/6 ore.


Qualche considerazione finale
La maratona è un sogno per molti, ma anche una odissea (e non me ne voglia Ulisse!), un impegnativo cimento psico-fisico che va affrontato nelle migliori condizioni (ricordiamocelo), con una preparazione adeguata e nella quale il giusto ritmo per noi (il ritmo-maratona) deve essere “dentro” di noi e metabolizzato al meglio.

I dati che vi ho mostrato in questa analisi confermano che ci vuole poco per rovinare una prestazione costruita in mesi e mesi di allenamenti, fatica, impegno e motivazione. Da coach, uomo di campo (e di Allrunning!) voglio bene a tutti i maratoneti e maratonete e sono certo che seguirete i miei consigli; buona maratona a ognuno di voi con il vostro nuovo primato personale!

Fonte: allrunning.it

giovedì 18 maggio 2017

Sapete dosare le energie durante una maratona? Gli errori più comuni da evitare


Parto da una considerazione facile, quasi banale: “Correre una maratona non è assolutamente facile, è un impegno importante, totale e gravoso sia sotto l’aspetto fisico sia psicologico. Dall’analisi che ho potuto fare (grazie ai chip) su decine di migliaia di voi “emerge” (ma non è una colpa!) che la maggior parte degli atleti/e compie errori (in gran parte significativi) nella distribuzione dello sforzo. E se in un 5.000 o in un 10.000 ciò inficia solo in parte la prestazione, in una mezza e ancor più in una maratona la penalizza fortemente (e tutto questo lo vedremo nei numeri).


Iniziamo a dare i numeri
È giusto premettere che molti sono gli aspetti/le variabili che influenzano la prestazione: la preparazione svolta (il troppo allenamento o il poco allenamento), la tipologia di percorso, il grado di esperienza dell’atleta, le condizioni climatiche, le dinamiche di gara con altri avversari/amici, l’ambiente/il percorso di gara (il correre in città davanti a tanta gente porta spesso a strafare), il corretto e necessario periodo di scarico pre-gara, il non eccedere con le competizioni nel periodo che precede la maratona, la bravura dei pacers e molto altro.


Il modello-ideale di prestazione
Semplice da dirsi, difficile da farsi: l’obiettivo sono due metà gara sovrapponibili e corse in uniformità di ritmo. Nella realtà, analizzando e tagliando per fasce di risultato/prestazione, più o meno (e lo dicono i numeri) “sbagliano” quasi tutti.


Da 2:10 a 2:30
Generalmente possiamo dire che sono quelli/e che corrono per vincere e, al contrario di quanto molti pensano, non sono i più virtuosi: il loro differenziale medio tra la prima e la seconda parte di gara è di 3’49”, cioè la seconda metà viene corsa più lentamente rispetto alla prima di quasi 4 minuti e parliamo di soggetti sicuramente molto allenati! La dinamica di gara, la ricerca del tempo e/o della vittoria, l’uso delle lepri, gli incrementi violenti di velocità e il non idratarsi/rifornirsi adeguatamente sono le prime cause di questa errata distribuzione.


Da 2:30 a 3 ore
Diciamola tutta, sono gli atleti più virtuosi; nei dati analizzati questi atleti/e hanno un differenziale medio di 3’03” (ma ho anche un dato su 500 maratoneti/e della velocissima Milano edizione 2002 di questa fascia con un differenziale di 1’06”, bravissimi!) e sono quelli che di fatto sbagliano meno! E pensate quanto migliori potrebbero essere le loro prestazioni con un avvio leggermente più prudente.


Fonte: allrunning.it

domenica 14 maggio 2017

Corri più forte allenandoti come hai sempre fatto


No, non sto parlando di doparti e non ti sto ingannando. Se ci pensi bene, ci sono dei modi assolutamente leciti per correre più forte senza ammazzarti di allenamento (ma seguendo sempre la tua solita routine) e senza fare niente di illegale.

Il tentativo di correre la maratona in meno di due ore provato da Nike con il Breaking2 ci ha infatti insegnato che in una gara puoi pianificare moltissime cose e puoi tentare di minimizzare gli effetti di quelle che non puoi controllare. Del Breaking2 si è detto giustamente che è stato effettuato in condizioni troppo ideali per essere reali ma questo è vero fino a un certo punto.


Sì, ma nella realtà è diverso
Gli atleti che hanno tentato l’impresa del Breaking2 correvano in un circuito automobilistico, alla temperatura giusta, con dei pacer che fendevano l’aria per loro e con delle scarpe che ne miglioravano le prestazioni – a detta di Nike – del 4%. Tutte cose, a detta dei critici, non replicabili in gara o in una situazione reale. Vero, ma non vero del tutto. Sicuro infatti di non poter usare a tuo vantaggio qualcuna di queste condizioni anche in gara? Vediamolo.


Il percorso
Se il fondo stradale è regolare e pianeggiante, non è molto diverso da quello di Monza su cui hanno corso il Breaking2. In una gara ti troverai a correre assieme ad altre migliaia di persone e quindi dovrai soffrire anche inevitabili tappi o rallentamenti, specie all’inizio. Un percorso libero da ostacoli come quello di Monza lo vedono solo gli atleti di elite che partono per primi e che corrono un’intera maratona in gruppi piccoli. Quello che puoi fare però è seguire il tragitto più breve: la distanza delle gare è infatti quella più breve misurata sulla strada. In altre parole è misurata all’interno delle curve. Tagliale quindi il più possibile.

Scegli anche percorsi di gara il più possibile pianeggianti (magari pure lievemente in discesa, se ti capita) perché correre in salita, lo sai, sega le gambe anche dei più forti. Berlino, per esempio, è nota come la più veloce maratona del mondo proprio per il percorso su cui si sviluppa.


La temperatura
Questo è il fattore, assieme al meteo, meno controllabile. Nike ha scelto Monza a maggio perché il tempo era abbastanza prevedibile: temperatura giusta, poco o niente vento, cielo coperto. Per essere sicuri hanno scelto di correre molto presto (alle 5.45) e alla fine gli è andata bene. La temperatura ideale è attorno ai 12°C e devi solo incrociare le dita. Per essere più sicuro però puoi evitare gare estive o a tarda primavera, anche perché il sole e il caldo possono deteriorare le tue prestazioni fino al 20%.


L’aerodinamica
I pacer che precedevano come una falange militare Kipchoge avevano una duplice funzione: fendere l’aria per lui e dargli il ritmo, motivandolo a seguirli. Il pacer serve a dare regolarità alla gara e a innescare un riflesso quasi inconscio nei runner: quello di stargli dietro o almeno di provarci. In gara non potrai avere 6 pacer come Kipchoge ma avrai comunque altri pacer e altri runner attorno a te – o meglio, davanti a te – che fanno la tua andatura e che puoi “sfruttare” per penetrare meglio l’aria. Cercali prima della partenza: se pensi di correre a una certa andatura, cerca il pacer corrispondente: sarà segnalato con una T-Shirt con scritto il tempo o l’andatura o avrà legato un palloncino che riporta le stesse informazioni. Il palloncino è più visibile da distante, non è che sta andando a una festa di compleanno.


Le scarpe
Come si diceva, le Zoom Vaporfly Elite che hanno usato nel Breaking2 erano personalizzate sul piede di ognuno dei 3 atleti ed erano studiate apposta per migliorare le loro prestazioni grazie a una soletta in carbonio inserita nell’intersuola e alla loro grande leggerezza. Nike venderà a breve dei modelli derivati da quelle stesse: uno molto simile con soletta in carbonio (che costerà circa 250€) e uno con soletta in materiale plastico, più economico. Ma a parte questo, la scelta della scarpa è fondamentale perché è ormai chiaro che può aiutarti ad andare più veloce e a stancarti di meno. Molti produttori propongono scarpe che usano miscele particolari nell’intersuola capaci di grande reattività ed elasticità, e ovviamente il primo che viene in mente è adidas con le Boost, ma anche Puma con le Ignite e New Balance con Fresh Foam. Insomma: ce n’è veramente per tutti i gusti e tutti i piedi.

A vincere una maratona ci riesce solo un runner alla volta. Felicissimo se quello sei tu ma visto che nella maggior parte dei casi non la vincerai, cerca di vincere l’avversario più duro: te stesso. Con un po’ di strategia ce la puoi fare.


Fronte: www.runlovers.it

venerdì 12 maggio 2017

Corsa: quanto si “perde” non allenandosi?


Non correre per un determinato periodo ha conseguenze sia a livello fisico sia mentale. I tempi di ripresa e i consigli per tornare in forma

La corsa dà notevoli adattamenti e i progressi, soprattutto nel neofita, sono notevolissimi e visibili giorno dopo giorno; va detto però che la gran parte degli adattamenti vengono (in parte) “persi” in un periodo relativamente breve in caso di sospensione totale dell’allenamento. Le modificazioni metaboliche, cardio-respiratorie e degli enzimi muscolari scompaiono o si riducono sensibilmente in un tempo che oscilla tra le quattro e le otto settimane dalla sospensione totale dell’allenamento! Va precisato, però, che l’effetto del disallenamento è comunque abbastanza variabile: in funzione del runner, delle sue caratteristiche fisiche, dell’età, degli anni di allenamento (e della disciplina praticata) può variare da qualche settimana a diversi mesi.


Meno resistenza!
Molte ricerche a carattere scientifico hanno permesso di osservare, ad esempio, riduzioni della massima potenza aerobica (in pratica la “cilindrata” del runner), della capacità di lavoro fisico, del volume ematico e del contenuto totale di emoglobina dell’ordine del 5-8% in sportivi a riposo completo per una sola settimana.


Meno forza!
Il grado di perdita della forza muscolare dipende ovviamente dal tempo intercorso tra le sedute di allenamento. In generale, possiamo dire che in un atleta ”non attivo” la forza diminuisce ogni giorno in una misura oscillante tra il 2 e il 4%, e questo già durante la prima settimana di inattività (parliamo di inattività totale e non parziale). Il non allenarsi porta chiaramente a un calo del testosterone e alla conseguente riduzione del tasso di sintesi proteica. Settimane di completa inattività conducono inoltre a una riduzione evidente dello spessore delle fibre muscolari, determinata sia dalla ridotta produzione di proteine sia dalla riduzione del numero delle unità motorie reclutate all’interno del muscolo durante l’allenamento.


L’inattività influisce anche… sulla psiche
Oltre che sui parametri fisici l’inattività influisce sul runner anche a livello psicologico e può avere conseguenze quali: insonnia, mal di testa, aumento della tensione e cattivo umore, inappetenza e talvolta anche depressione. Alcuni di questi problemi sono determinati dalla riduzione del livello di testosterone e delle beta endorfine, composti endocrini mediatori della sensazione euforica che si avverte dopo la corsa.


La sindrome da de allenamento
In chi è abituato ad allenarsi costantemente ed è costretto a sospendere l’attività si nota nelle settimane seguenti una diminuzione notevole del benessere fisiologico e delle capacità di prestazione; in particolare si evidenzia una “sindrome da de training” definibile come una sindrome di dipendenza dall’allenamento.


L’inattività non è da sottovalutare!
Molte volte succede che i coach (e i loro atleti/e) sottovalutino sia i periodi di inattività sia di ripresa (spesso presi dalla fretta eccessiva di tornare in gara dopo una malattia o un infortunio) ritenendo che in poco tempo si possa raggiungere il livello di forma precedente a un periodo di riposo. Nella realtà però non è così: in genere i tempi per ottenere una condizione fisica ottimale e adeguata alle attività tecnico/agonistiche sono abbastanza lunghi e variano ovviamente da soggetto a soggetto. Indicativamente possiamo dire che, in genere, per recuperare da un periodo di inattività totale e riportarsi sui livelli precedenti lo stop è richiesto un periodo di allenamento pari a una volta e mezza/due volte il periodo di inattività. Il training, in questa fase, deve essere molto equilibrato, vario e progressivo in modo da ridurre al minimo le possibilità di un infortunio.


Fonte: allrunning.it

domenica 30 aprile 2017

La velocità sta nei dettagli


Ok, lo so che non è la citazione corretta ma – per parlare di velocità – secondo me è perfetta. In effetti, quando si costruisce la resistenza basta correre, con un ritmo che ti permetta di conversare e un po’ alla volta costruirai le fondamenta di endurance. Ma per la velocità il discorso è molto più complicato: ci sono molti dettagli su cui concentrarsi per ottenere il massimo dal nostro allenamento.

Eccoci quindi a vedere quali sono gli aspetti a cui bisogna prestare attenzione per allenarsi a correre più veloci.


1. Fa’ sempre riscaldamento e stretching
È sentito e star-sentito, lo so. Ma se vai in un parco ti capiterà di assistere a questa scena: arriva il runner, fa un paio di salti sul posto e via – parte a bomba. Tra poco inizia il Campionato Mondiale di Formula 1 (e noi faremo un sacco di pisolini “guardandolo”): hai mai visto partire una macchina con il motore freddo? No.

Per massimizzare i risultati del nostro allenamento è indispensabile che il nostro corpo sia nelle condizioni migliori per beneficiare al massimo della fatica che sta facendo e – per questo – non bisogna mai tralasciare riscaldamento e stretching (due armi importantissime a nostra disposizione anche per allenarci di più facendo meno fatica).


2. Concentrati sulla qualità
Lo dico sempre, e mai mi stancherò di dirlo: la qualità è molto più importante della quantità e porta benefici non solo alla velocità ma anche alla resistenza. Quindi, per quanto siano odiose, non trascurare le ripetute (o il fartlek), meglio se fatte in pista.

Se stai lavorando sulla velocità, inserisci nel tuo programma almeno due giorni – intervallati da un adeguato recupero – con delle ripetute. E, se non stai preparando una gara particolare, dedicati sia alle ripetute brevi (sui 200 metri) che a quelle lunghe (sui 1.200 metri).


3. Un lungo “particolare”
Anche i lunghi a ritmo blando possono essere trasformati in allenamenti di qualità e resi più divertenti, mischiandoli con il progressivo. Mi spiego: ipotizziamo che tu debba fare un lungo da 15 Km (la distanza sceglila tu), prova a fare i chilometri 8, 9, 10 e 11 aumentando gradualmente il passo, senza esagerare ma con progressione crescente. Per poi tornare al tuo ritmo abituale per i lenti. In questo modo avrai fatto un leggero lavoro di velocità, ti sarai divertito e – molto importante – inizierai a imparare anche a gestire la fatica e i cambi di ritmo in gara.


4. Dormi
Sembra incredibile, lo so, ma il modo migliore di mettere a frutto i tuoi allenamenti è dormire. Il sonno permette ai muscoli di ricostruirsi adeguatamente e recuperare dalla fatica degli allenamenti. Qual è il beneficio quindi? Che ogni volta che infilerai le scarpe per correre, sarai nelle condizioni ideali per trarre il 100% di guadagno dai tuoi sforzi.

Non è un caso se moltissimi atleti top dormono almeno 8 ore al giorno, non credi?


Fonte: www.runlovers.it

domenica 23 aprile 2017

Corridori si nasce o si diventa?


Fino a che punto la predisposizione alla corsa è genetica, e fino a che punto invece influiscono l’allenamento e la determinazione?

Domande non da poco conto nell’ambiente sportivo e in quello del running, dove spesso si inizia a correre fulminati dall’entusiasmo contagioso dei genitori o degli amici.
In molti propendono per l’ipotesi che si nasca particolarmente dotati per l’attività sportiva, e che quindi in caso contrario sia possibile migliorarsi ma non certo diventare dei campioni.
Il ricercatore Klissouras nel 1971 ha pubblicato uno studio nel quale prendeva in considerazione l’interazione fra i fattori genetici e i risultati nel mondo dello sport, scoprendo che numerose variabili inerenti all’attività sportiva sono in parte (secondo percentuali diverse) influenziate dalla genetica: ad esempio, il massimo consumo di ossigeno lo è fino al 25%, la capacità di volume allenante fino al 70%, la frequenza cardiaca massima del 50%, e così via.

Le percentuali stanno a significare che, su una popolazione di 100 corridori, i numeri sopra riportati con quelle doti spiccate sono figli di grandi campioni.
In conseguenza ai risultati dello studio di cui sopra, è facile credere all’ipotesi che campioni si debba nascere. Inoltre, con l’evoluzione della scienza, sono state riscontrare almeno 200 varianti genetiche che sono collegate alle capacità atletiche del soggetto.
Quindi nessuna speranza per chi nasce normodotato ma voglia fare strada nella corsa? Non tutto è perduto, logicamente: ci sono poche cose in grado di eguagliare un assiduo allenamento, proporzionato alle proprie capacità fisiche, ed una sana dose di determinazione. Che talora, laddove associata ad una costanza di ferro, può produrre dei risultati davvero sorprendenti.


sabato 22 aprile 2017

Tono muscolare al top il giorno della gara


Molti runner, soprattutto le persone che si avvicinano alla loro prima gara, a causa dell’eccitazione per l’evento commettono errori in grado di compromettere la performance del giorno della competizione, ossia quello di allenarsi eccessivamente la settimana precedente.

Caricare i muscoli prima di una corsa è importante, ma farlo senza il giusto criterio può avere effetti deleteri. A risentirne è soprattutto la freschezza del tono muscolare, la cui mancanza non permette al runner di correre, durante la gara, con un passo che possa definirsi efficace. Nel caso in cui, nella settimana precedente, non sia stato possibile effettuare uno o più degli allenamenti programmati (per motivi di lavoro, oppure per problemi di salute) è sbagliato tentare di recuperare le sedute aumentando l’intensità e la durata di quelle successive.
Allo stesso modo, deve essere ricordato come fermarsi per qualche giorno prima di affrontare una gara è un comportamento altrettanto errato. Alcuni pensano, in questo modo, di preservare la freschezza muscolare; in realtà, il rischio è solamente quello di perdere l’abitudine allo sforzo e, soprattutto, di non riuscire più a respirare in modo corretto in gara. Per poter arrivare con un tono muscolare al top, pertanto, è importante eseguire allenamenti costanti, basati soprattutto su un’attività aerobica che risulti equilibrata e contenuta.

Un suggerimento, ad esempio, è quello di programmare un allenamento “a mezzo carico” circa 3 giorni prima della gara. A tale allenamento dovranno seguire dei richiami consistenti in ripetute effettuate su salite di breve lunghezza e non eccessivamente impervie. Chi lo desidera può anche aggiungere degli esercizi con sovraccarico, facendo attenzione che questi ultimi siano il più possibile mirati, oppure optare per degli esercizi a corpo libero. Sempre per preparare i muscoli allo sforzo, la settimana precedente la gara è importante cercare di rilassarsi il più possibile, dedicando un numero di ore sufficienti al sonno. Questo permetterà di allontanare le tensioni e di evitare infiammazioni. Allo stesso modo, è fondamentale curare al meglio l’alimentazione quotidiana. Da questo punto di vista, devono essere scelti alimenti che permettano di aumentare le riserve di glicogeno muscolare. Pertanto, meglio limitare i carboidrati negli ultimi giorni e preferire quelli a basso indice glicemico (in particolare verdura e frutta). Aumentare, al contempo, la percentuale di proteine. I risultati di tali scelte saranno evidenti fin dai primi chilometri percorsi.
Il giorno stesso della gara sarà importante risvegliare i muscoli prima della partenza. Per tale motivo, il riscaldamento rappresenta un momento indispensabile, che consente di ossigenare in modo ottimale i muscoli, preparandoli ad affrontare la corsa e, soprattutto, facendo in modo che la velocità possa crescere progressivamente man mano che aumenteranno i chilometri.


giovedì 13 aprile 2017

Cadere durante una corsa, a quanti è successo?


La corsa è una continua sfida con sé stessi, con la velocità, con il tempo. Con i propri limiti e con i record altrui.

E, come ogni sfida che si rispetti, può accadere che talvolta si commettano delle imprecisioni e degli errori. Basta un errore di calcolo, un’aderenza non ottimale a causa delle calzature o del terreno, una mossa falsa e si rischia di cadere.
La caduta durante la corsa non è da qualificare come una sconfitta, anzi. Può essere un caso, può essere invece il sintomo di un errore di impostazione, può essere dovuto alla stanchezza: per qualsiasi motivo accada, si deve sapere che non si è certamente i primi (né si sarà gli ultimi) a cadere sulla pista.
Qualche esempio per tirare su il morale? L’olandese Nadine Broersen è stata protagonista di una rovinosa caduta nel bel mezzo dei Mondiali d’atletica di Mosca; è inciampata e in pochi secondi è caduta a terra.

Una vera e propria lezione di sport (e di vita) viene invece da Heather Dorniden, un’atleta che stava correndo i 600 metri e proprio quando mancava solo un giro alla fine è caduta a terra. Al suo posto, probabilmente molti si sarebbero tirati indietro e ritirati dalla gara, ma non lei. Si è rialzata e ha ricominciato immediatamente a correre come se nulla fosse. Nonostante lo stacco delle avversarie, ha proseguito fino alla vittoria, che è stata più che guadagnata.
Il morale delle cadute è sempre e solo uno: ripiegarsi sulle proprie debolezze e piccole sconfitte non condurrà mai da nessuna parte, ma rialzarsi e cercare di migliorare ogni aspetto della propria tecnica, senza far mai mancare la passione, può portare a cose grandi.



venerdì 7 aprile 2017

Correre in modo corretto: evitare i salti


Uno degli aspetti fondamentali della corsa è quello di mantenere una postura corretta e cercare di sprecare meno energie possibili per ottenere tempi eccelsi mantenendo una falcata costante.

Il rimbalzo in corsa deve necessariamente essere controllato e ridotto per non sforzare troppo i muscoli delle gambe, in particolar modo i quadricipiti. Un vero runner deve prefissarsi degli obbiettivi ben precisi come quello di procedere con un’andatura invariabile senza sprecare energie indispensabili. Correre senza saltare significa percorrere distanze più lunghe con uno sforzo minore per un allenamento perfetto. Controllando i salti si eviterà anche di incorrere in spiacevoli e piccoli infortuni come contratture muscolari e stiramenti. Per evitare di saltare troppo durante la corsa è sufficiente seguire pochi e semplici consigli:

  1. Iniziare a correre con una postura del corpo corretta. La posizione ideale della braccia è quella a 90° rispetto al busto. In questo modo si eviterà di effettuare movimenti involontari verso l’alto. Anche la posizione delle spalle è fondamentale: devono essere leggermente posizionate più avanti rispetto alle anche.
  2. Durante la corsa bisogna pensare di essere leggeri come una piuma per riuscire ad avere una falcata leggera e regolare.
  3. Per ottimizzare il ritmo ed i passi al minuto effettuare delle corte falcate evitando di allungare troppo la gamba.
  4. La pianta del piede non deve essere appoggiata a terra del tutto: è molto importante cercare di controllare i tempi di appoggio.
  5. Pensare di correre al di sotto di un soffitto che rasenti la testa aiuterà ad evitare slanci inutili in verticale.
  6. Posizionare la testa in linea con il resto del corpo e mantenere lo sguardo rivolto in avanti e mai verso l’alto oppure il basso.
  7. Mantenere una cadenza di 180 passi al minuto per evitare di sollevare in modo eccessivo il tallone da terra ed utilizzare i glutei per spingere la gamba indietro quando il piede entra in contatto con il suolo.
  8. Correre sempre con un abbigliamento adeguato e prestare molta attenzione nella scelta delle scarpe. Calzature tecniche e concepite esclusivamente per il running sono sempre la scelta più intelligente perché permettono una riduzione dello stress muscolare e sono fondamentali per adottare una postura corretta. Evitare sempre l’utilizzo di una scarpa non conforme alla corsa.

Seguendo queste poche e semplici regole si riuscirà a correre senza un eccessivo dispendio di energie. Il salto in corsa può diventare un vero problema se non controllato e potrebbe compromettere tutto l’allenamento prefissato. Un vero runner deve essere consapevole dei movimenti del suo corpo per riuscire ad arrivare verso l’obbiettivo prefissato.



giovedì 6 aprile 2017

Cosa differenzia un jogger da un runner?


Quali sono le differenze fra un jogger e un runner? E soprattutto: come ci si trasforma da jogger a runner? Il primo passo è un programma di allenamento

Molti fra coloro che hanno iniziato a correre da poco si domandano che differenze ci siano fra un jogger e un runner: il primo è un corridore tranquillo, che con questo spirito affronta le uscite di corsa, senza chiedere troppo a se stesso e al proprio fisico; il runner, invece, è quello che “ci dà dentro”, per dirla in maniera sbrigativa. Entrando più nel dettaglio, il runner è colui che fissa degli obiettivi da raggiungere attraverso un programma di allenamento finalizzato alla pratica agonistica.

Il jogger, che corre a ritmo non sostenuto su percorsi perlopiù pianeggianti, che vuole diventare runner deve fare un salto di qualità nelle proprie sedute, cercando di sostenere un ritmo più elevato e affrontando anche percorsi collinari durante i suoi allenamenti. Quando si fissano degli obiettivi da raggiungere, questi non devono essere troppo ambiziosi, bensì adeguati al proprio livello di preparazione; mettere nel mirino traguardi proibitivi è controproducente.

Primo perché molto difficilmente potranno essere raggiunti, e secondo perché il mancato raggiungimento potrebbe portare ad un calo di motivazione, anticamera dello sconforto e dell’abbandono dell’attività fisica. Un primo obiettivo alla portata di un jogger che vuole diventare un runner possono essere i 10 mila metri, da correre con l’intento di centrare un risultato positivo.

L’allenamento finalizzato a questo tipo di gara prevede che almeno una volta nell’arco della settimana si effettui un lavoro con variazioni di ritmo, esercizio in genere del tutto assente nelle sessioni di chi fa jogging. Una seduta di un’ora con variazioni di ritmo è impostata su accelerazioni – da un minimo di 5 ad un massimo di 10 – della durata di un minuto, intervallate da 3 minuti di corsa a ritmo più blando. Procedendo per gradi, dopo la 10 chilometri si potrà iniziare a guardare oltre, mettendo nel mirino distanze superiori come la mezza maratona e, chissà, magari anche la maratona.


domenica 2 aprile 2017

Corsa: quanto si “perde” non allenandosi?


Non correre per un determinato periodo ha conseguenze sia a livello fisico sia mentale. I tempi di ripresa e i consigli per tornare in forma

La corsa dà notevoli adattamenti e i progressi, soprattutto nel neofita, sono notevolissimi e visibili giorno dopo giorno; va detto però che la gran parte degli adattamenti vengono (in parte) “persi” in un periodo relativamente breve in caso di sospensione totale dell’allenamento. Le modificazioni metaboliche, cardio-respiratorie e degli enzimi muscolari scompaiono o si riducono sensibilmente in un tempo che oscilla tra le quattro e le otto settimane dalla sospensione totale dell’allenamento! Va precisato, però, che l’effetto del disallenamento è comunque abbastanza variabile: in funzione del runner, delle sue caratteristiche fisiche, dell’età, degli anni di allenamento (e della disciplina praticata) può variare da qualche settimana a diversi mesi.

Meno resistenza!
Molte ricerche a carattere scientifico hanno permesso di osservare, ad esempio, riduzioni della massima potenza aerobica (in pratica la “cilindrata” del runner), della capacità di lavoro fisico, del volume ematico e del contenuto totale di emoglobina dell’ordine del 5-8% in sportivi a riposo completo per una sola settimana.

Meno forza!
Il grado di perdita della forza muscolare dipende ovviamente dal tempo intercorso tra le sedute di allenamento. In generale, possiamo dire che in un atleta ”non attivo” la forza diminuisce ogni giorno in una misura oscillante tra il 2 e il 4%, e questo già durante la prima settimana di inattività (parliamo di inattività totale e non parziale). Il non allenarsi porta chiaramente a un calo del testosterone e alla conseguente riduzione del tasso di sintesi proteica. Settimane di completa inattività conducono inoltre a una riduzione evidente dello spessore delle fibre muscolari, determinata sia dalla ridotta produzione di proteine sia dalla riduzione del numero delle unità motorie reclutate all’interno del muscolo durante l’allenamento.

L’inattività influisce anche… sulla psiche
Oltre che sui parametri fisici l’inattività influisce sul runner anche a livello psicologico e può avere conseguenze quali: insonnia, mal di testa, aumento della tensione e cattivo umore, inappetenza e talvolta anche depressione. Alcuni di questi problemi sono determinati dalla riduzione del livello di testosterone e delle beta endorfine, composti endocrini mediatori della sensazione euforica che si avverte dopo la corsa.

La sindrome da de allenamento
In chi è abituato ad allenarsi costantemente ed è costretto a sospendere l’attività si nota nelle settimane seguenti una diminuzione notevole del benessere fisiologico e delle capacità di prestazione; in particolare si evidenzia una “sindrome da de training” definibile come una sindrome di dipendenza dall’allenamento.

L’inattività non è da sottovalutare!
Molte volte succede che i coach (e i loro atleti/e) sottovalutino sia i periodi di inattività sia di ripresa (spesso presi dalla fretta eccessiva di tornare in gara dopo una malattia o un infortunio) ritenendo che in poco tempo si possa raggiungere il livello di forma precedente a un periodo di riposo. Nella realtà però non è così: in genere i tempi per ottenere una condizione fisica ottimale e adeguata alle attività tecnico/agonistiche sono abbastanza lunghi e variano ovviamente da soggetto a soggetto. Indicativamente possiamo dire che, in genere, per recuperare da un periodo di inattività totale e riportarsi sui livelli precedenti lo stop è richiesto un periodo di allenamento pari a una volta e mezza/due volte il periodo di inattività. Il training, in questa fase, deve essere molto equilibrato, vario e progressivo in modo da ridurre al minimo le possibilità di un infortunio.


Fonte: allrunning.it

sabato 1 aprile 2017

Metodo di allenamento “a sensazione”


Molto noto tra i runner amatoriali, il metodo di allenamento cosiddetto “a sensazione” è un pratica più diffusa di quanto si pensi: capita spesso, infatti, che chi corre più per obbligo, magari per dimagrire oppure per consiglio del medico, piuttosto che per passione cada nell’errore di non pianificare le sedute di training, ma di seguire il momento, ovvero di allenarsi in base a quello che ha voglia di fare quando comincia il training.

In questo modo si alternano corse più lunghe e meno intense, oppure più brevi e molto veloci, o ancora vere e proprie passeggiate: un’intermittenza dello sforzo fisico che sicuramente non fa bene all’organismo.

Chi pratica l’allenamento a sensazione tende a difenderlo in quanto connubio di corpo e mente, difendendo questo metodo con la convinzione che il cervello “sappia” quanto il corpo è in grado di rendere in una determinata circostanza. Ma quello che non tutti i sostenitori di tale training sanno è che questa pratica è stata studiata a lungo, già negli anni Ottanta, per approvarne o meno la validità.

Nel 1982 il ricercatore Borg mise a punto una tabella, tuttora seguita, per definire gli allenamenti in base allo sforzo fisico, identificato grazie all’attribuzione di un punteggio.
Si va da una gradazione di sforzo estremamente leggero fino a quello estremamente faticoso, passando per sette differenti gradi: il problema della tabella, in sè valida, è che non è semplice come sembra che il runner amatoriale riesca ad assegnare ad un tipo di training il giusto grado di difficoltà.

Sebbene infatti sembri quasi impossibile confondere un allenamento molto leggero con uno molto faticoso, sono molti i fattori che possono concorrere nell’attribuzione di un valore sbagliato alla propria seduta di corsa.

Tra questi ci sono, ad esempio, percezioni erronee dell’allenamento dovute a momentanei problemi extra sportivi, oppure al clima esterno, che si tollera più o meno in base al proprio organismo.

Per capire allora se si è capaci di identificare con esattezza i propri allenamenti, è sufficiente fare una sorta di test con due diverse prove: la prima è quella di fare una corsa di 10 chilometri mantenendo la propria frequenza cardiaca al 70% della massima; la seconda, invece, una corsa di 10 chilometri da 30 secondi al chilometro. In entrambi i casi è sufficiente inquadrare i due allenamenti nella tabella e vedere se la risposta è corretta.

Il primo allenamento, in realtà, è molto leggero, mentre il secondo abbastanza leggero: in base a quanto è errata la risposta che si è data, si può facilmente comprendere se ci si sta sotto allenando, oppure se si è abituati a tirare troppo nelle proprie sedute di training.

Curiosamente è più semplice identificare gli allenamenti per chi corre da più tempo: questo perché i runner abituali conoscono meglio le risposte del proprio organismo all’intensità della corsa, mentre chi corre da poco dovrebbe completamente evitare l’allenamento a sensazione, dal momento tale pratica che rischia di risultare dannosa, invece che d’aiuto.

In conclusione, il vero problema di questa forma di training è che la sensazione che dà il nome all’allenamento non è la reale risposta fisica al tipo di sforzo, ma un’elaborazione della mente influenzata anche da dolori e microtraumi che sono normali nel post allenamento, ma che il cervello amplifica.
L’allenamento ottimale, quindi, è quello pianificato in precedenza, non influenzabile da valutazioni viziate del proprio stato fisico.


giovedì 30 marzo 2017

La chiave per migliorare le performance: il recupero


Per incrementare le proprie prestazioni l’allenamento è di grande importanza, ma lo è altrettanto – se non di più – il recupero: vediamo per quali motivi

Il miglioramento delle performance di un runner passa dall’allenamento costante, ma non soltanto: il recupero è un elemento fondamentale per rendere l’organismo più efficiente durante la corsa; si può affermare, dunque, che i progressi di un atleta dipendono dal binomio fra un allenamento adeguato ed un recupero corretto, mentre spesso quest’ultima fase viene trascurata o sottovalutata.

In particolare dopo gli allenamenti più intensi, i runner hanno bisogno di qualche giorno di scarico per recuperare in maniera completa. Un sistema per ottimizzare tale processo sono le cosiddette corse di recupero, chiamate in inglese “recovery run”, che servono a sciogliere la muscolatura, migliorare la circolazione del sangue ed incrementare l’ossigenazione dei tessuti, al fine di favorire un recupero ottimale dopo lo sforzo fisico.

Come si effettua questo tipo di corsa? Bisogna tenere un ritmo blando, poiché l’obiettivo è mantenere il livello aerobico più basso possibile; si corre cercando di non andare mai in affanno respirando solamente con il naso, dunque mantenendo chiusa la bocca. In caso di necessità, è possibile aiutarsi tappando la bocca con una striscia di nastro adesivo. La durata della corsa di recupero è in genere compresa fra mezz’ora e 45 minuti, con percorsi in piano (quindi senza salite o discese) proprio per mantenere basso lo sforzo.

Alla corsa a ritmo molto contenuto si affianca il riposo, elemento imprescindibile di un buon recupero. Durante questa fase l’organismo ricostruisce i tessuti in maniera da adattarli agli stimoli che ha ricevuto, permettendo così di progredire nelle sedute di allenamento successive. In maniera particolare è il sonno l’elemento determinante per ristabilire un corretto equilibrio fisico, soprattutto dopo uno sforzo intenso. Dormire fra le 7 e le 8 ore a notte è fondamentale per migliorare le prestazioni poiché la scienza ha dimostrato che il sonno e le prestazioni a livello atletico sono strettamente collegati. Senza un adeguato riposo e recupero dopo lo sforzo, si rischia l’overtraining, che costringerà a modificare i programmi di allenamento per poter ritornare ad una condizione che consenta di allenarsi normalmente.