sabato 28 maggio 2016

L'importanza della corsa lenta nell'allenamento alla maratona

Quando si vuole preparare una maratona con l’obiettivo, non solo di tagliare il traguardo, ma di percorrere la distanza in un determinato tempo, allora la costruzione della performance deve passare necessariamente attraverso determinati step. Vediamo nel dettaglio quali sono gli obiettivi fisiologici e le caratteristiche principali dei mezzi di allenamento alla maratona.

Il primo obiettivo è quello di migliorare l’apporto di ossigeno ai muscoli. L’allenamento che determina questo miglioramento è la corsa a frequenza cardiaca vicina a quella massima (a 10-12 battiti/min da essa).

Il secondo obiettivo da perseguire riguarda il miglioramento della potenza lipidica, cioè della capacità di utilizzare i grassi quando si corre al livello di soglia aerobica. Questo si ottiene con corse di durata ed intensità tali da determinare il consumo del grasso endomuscolare, generalmente con i lunghissimi.

Infine, il terzo obiettivo riguarda l’aumento del depositi muscolari di glicogeno, che si ottiene con corse di durata e intensità tali da determinare il consumo del glicogeno muscolare.

La seduta di allenamento denominata in maniera impropria “corsa lenta”, meglio definita come corsa a bassa velocità, è costituita da una corsa condotta a velocità ben inferiore a quella di soglia aerobica, cioè del ritmo della maratona. La corsa lenta non incide sull’apporto di ossigeno ai muscoli, né la sua durata può essere tale da impoverire le riserve di trigliceridi endomuscolari, quindi non sembra in grado di determinare aumenti delle scorte di glicogeno né di migliorare la potenza lipidica. Eppure i maratoneti che nelle loro tabelle di allenamento riducono in misura significativa il chilometraggio a bassa velocità, hanno un peggioramento delle loro prestazioni.

Negli ultimi anni l’allenamento alla maratona di alto livello ha avuto una tendenza ad una riduzione del chilomentraggio totale con un contemporaneo aumento percentuale del lavoro più qualificato, cioè quello ad intensità superiore o simile alla gara. Ci sono casi eclatanti di Keniani che con 180 km settimanali hanno avuto prestazioni sotto le 2h 10m.

Alla luce di quanto detto, a cosa può servire un utilizzo quantitativamente così rilevante del lavoro a bassa intensità?

Vi sono varie interpretazioni, ma quella che sposiamo noi è che esso favorisce il turnover delle fibre muscolari, determinando importanti adattamenti soprattutto nelle fibre che non intervengono nella maggior parte degli allenamenti più importanti. Con la corsa a bassa velocità si attivano le fibre muscolari che non intervengono nella prima parte della maratona, ma soltanto più tardi, quando sono state messe “furori uso” le fibre che hanno cominciato a lavorare dall’inizio.

Si può pensare che il lavoro lento contribuisca a consumare una parte del glicogeno e dei trigliceridi contenuti in alcune fibre muscolari, in particolare le fibre rosse (cariche di globuli rossi) dette fibre della resistenza o lente. Quando è esaurito il compito di queste fibre si passa necessariamente all’utilizzo delle fibre di tipo veloci ossidative e qui avviene il miglioramento. Queste fibre sono quelle che hanno una maggiore rilevanza a livello prestativo. In queste fibre si manifesta l’aumento dei mitocondri, gli enzimi del meccanismo aerobico che contribuiscono ad aumentare i depositi di glicogeno ed a lubrificare il meccanismo di utilizzo dei trigliceridi.

In conclusione possiamo dire che la corsa a bassa velocità, anche se non è direttamente correlabile per tipologia di allenamento alla prestazione, rappresenta la base su cui si poggerà tutta l’impalcatura dell’allenamento, ecco perché rappresenta la percentuale più alta come mezzo di allenamento alla maratona.


Fonte: www.runningitalia.it