mercoledì 13 aprile 2016

Quanto posso migliorare nella corsa?


Quanto posso migliorare nella corsa? Questa domanda è molto ricorrente sia fra gli amatori che fra gli atleti d’élite. Anche sé è un dubbio legittimo, il solo “spingersi oltre” sia negli allenamenti che nell’alimentazione e nello stile di vita non deve trasformarsi nell’unico motivo che spinge a correre, anche perché una volta raggiunti i propri limiti i margini di miglioramento sono esigui.


A questo punto l’obiettivo è quello di mantenere standard alti di prestazione e cercare di infortunandosi il meno possibile. Vediamo allora quali sono le componenti che influenzano la prestazione e quindi il miglioramento.

Ovviamente i primi fattori che influenzano la prestazione sono l’età, la struttura, le capacità fisiche, la predisposizione agli infortuni, ma anche il tipo di lavoro che si svolge, lo stile di vita, l’alimentazione, la serenità, il luogo in cui si vive, la mentalità, la motivazione. In mezzo a tutti questi elementi c’è anche l’allenamento che, come si può intuire, è uno dei fattori più importanti, ma di sicuro non è quello fondamentale. Si possono svolgere delle belle sedute di allenamento, ma se l’alimentazione o il riposo o lo stile di vita che si svolgono sono molto irregolari, la prestazione ne subirà un forte condizionamento, e alla lunga anche uno scadimento. Quindi tra i primi fattori che determinano un miglioramento prestativo ci sono un giusto peso, una vita regolare, il giusto riposo, una corretta alimentazione: allenandosi come si è sempre fatto e prestando attenzione ai parametri appena indicati, ci si accorgerà che il miglioramento avverrà senza aver introdotto chi sa quale tabella.

Tornando a noi, vediamo l’aspetto che ci riguarda da vicino, cioè l’allenamento. Un primo fattore condizionante dell’allenamento è il numero di sedute settimanali che si possono svolgere. Lo stimolo minimo per produrre effetti è allenarsi tre volte a settimana. Se si corre meno di tre volte a settimana i miglioramenti sono pressoché nulli: l’attività che viene svolta due o una volta a settimana è valida ai fini salutistici ma non prestativi. Di contro allenarsi sei, sette giorni a settimana non sempre determina un miglioramento nel senso che, se non si esegue un programma di allenamento stilato su misura in base alle proprie caratteristiche e alle proprie possibilità, spesso si va incontro all’overtraining ottenendo un’involuzione nella prestazione.

Partendo dal presupposto che con l’allenamento si può migliorare, questa affermazione è valida fino ad un certo punto. Infatti, anche allenandosi al meglio, non significa che si possono ottenere tutti i risultati che si desiderano. Il miglioramento è riferito al proprio punto di partenza e non ha valori generali. Ad esempio, se corro la maratona a 5’ al km, è impossibile immaginare che allenandomi di più la correrò a 3’ al km. Quindi partendo dalle proprie qualità, la scelta di seguire una determinata tabella o di affidarsi ad un dato allenatore dovrebbero essere effettuate in base al proprio gradimento psicologico, l’obiettivo dovrebbe mirare alla longevità atletica: piuttosto che avere dei picchi dovuti a carichi enormi, bisogna mirare a cicli lunghi di allenamento che negli anni determinano un miglioramento e un consolidamento della prestazione. Tale miglioramento è dovuto alla sommatoria dei mesi/anni di lavoro svolto in continuità, e non è determinato da una tabella o programma che ha stressato al massimo e spesso provocato l’infortunio, obbligando a lunghi periodi di stop con tutte le frustrazioni che ne conseguono.

Si intuisce che per i “top runners” la discussione è diversa nel senso che la prestazione è l’obiettivo fondamentale per cui si pratica l’attività e ci si spinge sempre ai limiti per ottenere il massimo, anche solo in un grande evento, di conseguenza i rischi si moltiplicano ma fanno parte del gioco.


Fonte: www.runningitalia.it